Quello che abbiamo ascoltato durante l’Angelus di domenica è «un appello a una risposta creativa e generosa, che nasce dal cuore del Papa nel contesto della preparazione a un Giubileo della Misericordia che si deve attuare in particolare attraverso le opere», e non si tratta di «un piano operativo e organizzativo predefinito».
È in queste parole, prese dalla nota diramata da Padre Lombardi, che si può cogliere il significato più profondo dello straordinario gesto di amore e apertura del cuore lanciato domenica dal Papa. La carità riscoperta e riportata a quello che è il suo vero e profondo valore: un gesto spontaneo, uno slancio di umanità traboccante che va ben al di là dei gesti di umana giustizia. Non per nulla il Papa ha fatto riferimento esplicito alla misericordia, che è ben più della giustizia, ed è anzi proprio un’ingiustizia per eccesso di amore, come spesso lo stesso Bergoglio ha ricordato.
Il Papa ha fatto un gesto autenticamente cristiano. Ma non perché, come molti banalmente pensano, ha applicato il dettato evangelico. Sarebbe poca cosa; e il cristianesimo non è mai l’applicazione di una regola, anche buona. Ha fatto un gesto autenticamente cristiano perché ha illuminato di una luce nuova tutta la vicenda. Ha proiettato l’evento delle migrazioni e il problema dell’accoglienza in una dimensione tutta nuova, dove il gesto d’amore del cuore umano diventa il punto di rinascita e di ripartenza. E questo passa da un’assunzione di responsabilità personale: non dico cosa deve fare lo Stato, o gli Stati, o le organizzazioni di Stati. Vi dico quello che faccio io, e quello a cui spingo tutti coloro che seguono me in quanto umile pastore. Questo ha voluto dirci il Papa. Una lezione mirabile e semplice. Tanto semplice che presumo sarà capita da pochi.
Perché il grande equivoco in cui cadono in molti (e, ahimè, moltissimi cattolici sedicenti filo-papisti, nel senso del Papa di oggi) è che la carità cristiana, rivisitata come semplice solidarietà, debba diventare legge dello Stato. Il che significherebbe niente meno che decretarne la morte. La carità è appunto un gesto che «nasce dal cuore», che sia il cuore del Papa o il cuore di ciascuno di noi, e gli stati e la politica e le leggi esistono per far sì che questi gesti possano esistere ed attuarsi nel migliore dei modi. Senza sostituirsi ad essi, senza renderli inutili. Senza creare, come diceva Eliot, «sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono». Quanti cattolici, oggi più che mai, cadono inconsapevoli in questo rischio!
A maggior ragione, di fronte allo straordinario slancio del Papa, stride più che mai lo spettacolo miserabile della strumentalizzazione politica della vicenda. Con aspetti ugualmente demoralizzanti, da una parte e dall’altra: che sia Matteo Renzi, il quale ne approfitta per dare agli avversari politici niente meno che l’appellativo di «bestie»; o sia invece l’altro Matteo, Salvini, che gli risponde dandogli del «verme». Pessimo spettacolo; e, soprattutto, spettacolo equivalente, da una parte e dall’altra. Nessuna differenza.
E allora tra chi da una parte in questa situazione pensa che le leggi dello Stato debbano sostituire, rendendolo obbligatorio, lo slancio di bontà del cuore dell’uomo (ricordarsi che le ideologie totalitarie si basano esattamente su questo principio); e chi dall’altra semplicemente utilizza il tutto per rimpolpare il progetto politico-comunicativo: ecco spuntare la terza via, quella umanamente autentica, l’unica che illumina il mondo circostante. La via del Papa: che apre il proprio cuore, e confida nella capacità di aprire molti cuori a partire dal suo gesto.
Non è una via apolitica, o impolitica. Perché di fronte a questo gesto la politica un compito preciso ce l’ha: mettersi al servizio.