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La terza via del Papa

Quello che abbiamo ascoltato durante l’Angelus di domenica è «un appello a una risposta creativa e generosa, che nasce dal cuore del Papa nel contesto della preparazione a un Giubileo della Misericordia che si deve attuare in particolare attraverso le opere», e non si tratta di «un piano operativo e organizzativo predefinito».

È in queste parole, prese dalla nota diramata da Padre Lombardi, che si può cogliere il significato più profondo dello straordinario gesto di amore e apertura del cuore lanciato domenica dal Papa. La carità riscoperta e riportata a quello che è il suo vero e profondo valore: un gesto spontaneo, uno slancio di umanità traboccante che va ben al di là dei gesti di umana giustizia. Non per nulla il Papa ha fatto riferimento esplicito alla misericordia, che è ben più della giustizia, ed è anzi proprio un’ingiustizia per eccesso di amore, come spesso lo stesso Bergoglio ha ricordato.

Il Papa ha fatto un gesto autenticamente cristiano. Ma non perché, come molti banalmente pensano, ha applicato il dettato evangelico. Sarebbe poca cosa; e il cristianesimo non è mai l’applicazione di una regola, anche buona. Ha fatto un gesto autenticamente cristiano perché ha illuminato di una luce nuova tutta la vicenda. Ha proiettato l’evento delle migrazioni e il problema dell’accoglienza in una dimensione tutta nuova, dove il gesto d’amore del cuore umano diventa il punto di rinascita e di ripartenza. E questo passa da un’assunzione di responsabilità personale: non dico cosa deve fare lo Stato, o gli Stati, o le organizzazioni di Stati. Vi dico quello che faccio io, e quello a cui spingo tutti coloro che seguono me in quanto umile pastore. Questo ha voluto dirci il Papa. Una lezione mirabile e semplice. Tanto semplice che presumo sarà capita da pochi.

Perché il grande equivoco in cui cadono in molti (e, ahimè, moltissimi cattolici sedicenti filo-papisti, nel senso del Papa di oggi) è che la carità cristiana, rivisitata come semplice solidarietà, debba diventare legge dello Stato. Il che significherebbe niente meno che decretarne la morte. La carità è appunto un gesto che «nasce dal cuore», che sia il cuore del Papa o il cuore di ciascuno di noi, e gli stati e la politica e le leggi esistono per far sì che questi gesti possano esistere ed attuarsi nel migliore dei modi. Senza sostituirsi ad essi, senza renderli inutili. Senza creare, come diceva Eliot, «sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono». Quanti cattolici, oggi più che mai, cadono inconsapevoli in questo rischio!

A maggior ragione, di fronte allo straordinario slancio del Papa, stride più che mai lo spettacolo miserabile della strumentalizzazione politica della vicenda. Con aspetti ugualmente demoralizzanti, da una parte e dall’altra: che sia Matteo Renzi, il quale ne approfitta per dare agli avversari politici niente meno che l’appellativo di «bestie»; o sia invece l’altro Matteo, Salvini, che gli risponde dandogli del «verme». Pessimo spettacolo; e, soprattutto, spettacolo equivalente, da una parte e dall’altra. Nessuna differenza.

E allora tra chi da una parte in questa situazione pensa che le leggi dello Stato debbano sostituire, rendendolo obbligatorio, lo slancio di bontà del cuore dell’uomo (ricordarsi che le ideologie totalitarie si basano esattamente su questo principio); e chi dall’altra semplicemente utilizza il tutto per rimpolpare il progetto politico-comunicativo: ecco spuntare la terza via, quella umanamente autentica, l’unica che illumina il mondo circostante. La via del Papa: che apre il proprio cuore, e confida nella capacità di aprire molti cuori a partire dal suo gesto.

Non è una via apolitica, o impolitica. Perché di fronte a questo gesto la politica un compito preciso ce l’ha: mettersi al servizio.

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I defunti e la giusta sepoltura

E’ un concetto antico, addirittura primordiale, quello della giusta sepoltura da dare ai defunti, insieme all’esigenza di render loro onore. È uno di quei segni profondi, incontrovertibili, della presenza di una indelebile traccia di senso religioso nel cuore dell’uomo: inchinarsi di fronte a ciò che è e sempre rimarrà un mistero, almeno da questa parte della sponda. Antichissime sono le testimonianze di culto dei morti; mentre già nel V secolo avanti Cristo se ne aveva una consapevolezza così profonda da generare la tragedia di Antigone, dove ormai l’idea è pienamente sviluppata e portata alle estreme conseguenze.

Questo è lo sguardo con cui dovremmo, a mio avviso, guardare quel bambino siriano morto sulla spiaggia, che tutti con commozione stiamo vedendo in queste ore. Mistero, culto, onore. Categorie genuinamente primitive, e quasi del tutto perdute. Ora su quel corpo si combatte invece una vile battaglia. Il misto di moralismo e di spietatezza dei giornali trova in questo frangente un terreno fertilissimo: chi non la pubblica, si prodiga in fiume di squillanti spiegazioni (ricordarsi di coloro che facevano l’elemosina tra squilli di tromba); chi la pubblica, semplicemente la usa, come si usa un’immagine in un qualunque cartello pubblicitario. E i secondi, poi, fanno esattamente come i primi, spiegando, giustificando, nobilitando, eccetera, eccetera…

Nel frattempo il bambino, il suo corpo morto, resta lì. E il gesto più significativo, allora, l’unico degno, è quello di quell’uomo che lo raccoglie, che lo prende sulle proprie braccia, che fa magari inconsapevolmente il primo e assoluto dovere di un uomo: portare con reverenza quel corpo perché gli venga data giusta sepoltura, insieme al tributo di onori. Perché ci si possa inginocchiare, pregare, piangere anche, e soprattutto chiedersi il perché, il perché di questa e di altre tragedie, il perché ultimo, profondo della tragica fragilità della condizione umana. Tutti dovremmo idealmente unirci a quell’uomo, prestargli le nostre braccia per compiere insieme quel gesto. Per portare insieme quel pezzo di croce che lui sta portando.

E poi viene anche il terreno di scontro politico. Non verrebbe nemmeno voglia di citarlo (non la politica, ma lo scontro politico). Ma ci tocca. Ci tocca commentare lo scontro fra diverse viltà che si gioca intorno a questi episodi: la viltà di chi utilizza solo la paura e gli istinti per affrontare il dramma dei profughi, senza alcuna consapevolezza di tutto ciò che c’è dietro, dell’umanità offesa delle singole persone; e poi la viltà di chi si sente dalla parte giusta, di chi pensa di essere il vero difensore dei diritti di quel bambino, ora che utilizza quell’immagine e solletica i sentimenti esattamente come gli altri solleticano la paura. E peccato che ci sia chi si lascia ingannare, giustificando i secondi in quanto più raffinati e colti dei primi. Stessa pasta, invece, con l’aggravante dell’atteggiamento farisaico.

La politica di fronte a questa immagine deve fare una sola cosa: lasciarsi colpire, fino in fondo, e avere così uno sprone a fare ancor più compiutamente il proprio dovere. Cioè risolvere i problemi all’origine, in maniera sistematica, con strategia e lungimiranza. Senza sentimentalismo, ma al contrario avendo nella testa e nel cuore il sentimento profondo della responsabilità umana che sta dietro le loro scelte.

Anche questo è un modo, meno appariscente, meno passibile di ‘mi piace’ sulla rete, di rendere onore a quel bimbo morto. Mentre tutti, politici e non, preghiamo che Dio lo abbia nella sua gloria.

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Basta parole: facciamo chiudere le scuole di Livorno

L’idea è semplicissima: basta discussioni, basta autodifese, basta attese su azioni-tampone del governo. Basta. La Cassazione, chiudendo un contenzioso tra il Comune di Livorno e alcuni istituti scolastici, ha deciso che le scuole paritarie sono come normali esercizi commerciali e quindi devono pagare la tassa sugli immobili? Bene. Si dichiari definitivamente bancarotta, si chiudano le scuole, e si lascino gli alunni in mezzo a una strada. Senza attendere altro. E poi ci si mette tranquilli, a braccia conserte, ad aspettare e vedere che cosa accade. Come il famoso uomo sulla riva del fiume, in attesa del nemico…

Sì, perché è ormai tempo di finirla con le discussioni intorno al valore pubblico del servizio fornito dalle scuole paritarie, così come sancito non dal Papa o dalla Cei, ma dalla legge italiana, e per di più fatta da un ministro non proprio papista come Luigi Berlinguer; è ora di finirla con il tentativo di mostrare che le scuole paritarie fanno risparmiare una cosa come 6 miliardi e passa di euro all’anno allo stato; è ora di finirla insomma con il tentativo di mettere qualcosa di sensato nella zucca vuota dei tanti paladini dell’ideologia laicista e anti-liberale del ”tutto pubblico, tutto statale”. Basta. Battaglia persa. Non entra loro in testa, perché sono i sordi peggiori, cioè quelli che non vogliono sentire. Inutile parlare di dati reali a persone cui la realtà non importa.

Però, quando si parla di realtà, un metodo alla fine c’è per far capire di cosa si sta parlando. Perché la realtà ha il pregio di potersi imporre, sensibilmente. Possiamo discutere finché vogliamo se quel che abbiamo di fronte è o no un muro, e a parole l’interlocutore cocciuto potrà andare avanti all’infinito a negare l’evidenza. A meno di non prendere un’altra strada, e fare in modo di creare un’occasione di incontro ravvicinato e possibilmente a velocità sostenuta tra la testa non ragionativa dell’ideologico interlocutore e la presenza fisica e sensibile del muro oggetto di discussione. Solo così l’opinione anti-realista può alla fine cambiare, grazie a un doloroso ma salutare bernoccolo.

Allora chiudiamole queste scuole di Livorno. Ma chiudiamole veramente. Uniamoci, facciamo una colletta per sostenere temporaneamente i docenti e i dipendenti della scuola che rimarranno senza lavoro, troviamo delle soluzioni tampone. Ma si vada fino in fondo. Fallimento, serrande abbassate. Come un normale esercizio commerciale, visto che così lo volete.

E a settembre, alla riapertura dell’anno scolastico, saremo lì tranquilli, con le braccia conserte a vedere un po’ che cosa farà il Comune di Livorno per gestire l’emergenza. Così non ci sarà più bisogno di sgolarsi per dire che senza le paritarie lo stato, o chi per lui, non è in grado di fornire a tutti il sacrosanto esercizio del diritto allo studio. Sarà, appunto, il salutare incontro tra la zucca vuota e il solido e incontrovertibile muro di cemento.

Perché si ha la netta impressione che possa servire a ben poco il fatto che ora il governo si impegni a intervenire per sancire che le scuole paritarie, fornendo un servizio pubblico, non devono pagare la tassa sugli immobili. Sarà l’ennesima pezza; giusta, ci mancherebbe, ma pur sempre una pezza. Fa piacere che il governo si impegni, ma non basta.

E fa piacere anche vedere un monsignor Galantino, solitamente così dialogante e poco propenso allo scontro muscolare, che ora invece tuona da tutti i giornali addirittura contro le lobby che vogliono umiliare la Chiesa, chiamando per di più a raccolta in questa battaglia tutti i laici consapevoli del valore pubblico delle scuole paritarie. Fa molto piacere, e quasi stupisce per la veemenza battagliera dell’intervento. Ma anche questo sussulto è bene non si spenga di fronte all’ennesimo contentino dell’autorità statale. Si abbia il coraggio di andare fino in fondo, e si abbia il coraggio questa volta di un’azione eclatante. Un’azione che ponga l’opinione pubblica di fronte a un’evidenza incontrovertibile: se le scuole paritarie chiudono il sistema collassa. Ma non a parole, nei fatti. Chiudendo le scuole. Almeno a Livorno, come primo assaggio.

Solo così, dal giorno successivo, il dibattito sul rapporto tra scuola statale e scuola paritaria – che in Italia, e solo in Italia, è tutto ideologico e fondato su categorie vecchie di cent’anni – finalmente potrà vedere una svolta. Solo così potranno essere zittiti tutti coloro che non intendono capire certi argomenti che dovrebbe essere evidenti, sia sul piano culturale, sia sul piano economico e amministrativo. Si passi all’azione, si faccia vedere il peso reale di certe argomentazioni.

Poi si riparte da zero, con la consapevolezza finalmente chiara che un paese senza libertà di educazione è un paese in ginocchio, in tutti i sensi. E basta, veramente basta a trattative con il cappello in mano, come ad elemosinare qualche piccolo sostegno e qualche intervento tampone. Si affronti una volta per tutte la discussione in maniera radicale. Ne avranno giovamento tutti, compresi i trinariciuti che oggi gioiscono per la sentenza folle sulle scuole di Livorno.

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